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DIRITTO ROMANO
Ordinamento giuridico che accompagnò la
storia di Roma dalla fondazione alla caduta e che, nei secoli seguenti,
fino alla creazione dei moderni codici, fu ripreso e utilizzato da tutti
i popoli del territorio già dell'impero romano. Nei primi secoli
dalla nascita di Roma fondamento del diritto (ius) fu considerata
la tradizione. Da principio non vi erano leggi scritte, ma soltanto una
coscienza collettiva e ogni ramo della vita quotidiana era regolato da
una prassi universalmente accettata, secondo le usanze degli antenati
(mos maiorum). Il primo documento di legge scritta in Roma furono
le Dodici tavole (V secolo a.C.). Successivamente le leggi venivano
proposte dal magistrato e votate dai comitia.
Il più antico ius civile fu chiamato ius quiritium,
cioè dei cittadini romani. Lo ius honorarium (o praetorium)
comprendeva le leggi introdotte dai magistrati (in particolare pretori)
per interpretare, correggere o ampliare lo ius civile, costituito
anche dalla legislazione promulgata dai comizi (leges), dai concilia
plebis (plebiscita), dal senato (senatus consulta) e,
in età imperiale, dalle constitutiones. Una divisione generale
esisteva tra publicum e privatum. Il primo riguardava la
costituzione dello stato e le regole d'interesse comune; il secondo concerneva
i diritti dei singoli. Lo ius gentium concerneva sia le norme legali
per le relazioni tra stati indipendenti (corrispondendo all'odierno diritto
internazionale), sia il complesso di regole giuridiche che, attraverso
il contatto con gli altri popoli, arricchirono il diritto romano. Lo ius
italicum si esercitava sul territorio italiano, esente da tassazione
fondiaria (tribum soli); questo privilegio durante l'impero poteva
essere accordato ad alcune municipalità provinciali. Tuttavia alla
legge si ricorreva solo eccezionalmente ed essa era considerata un mezzo
per intervenire sulle tradizioni e cambiarle quando queste si rivelavano,
agli occhi delle autorità e dei giuristi, inique, dannose o inadeguate
alle nuove esigenze della collettività. Essa non aveva per lo più
un rigido carattere normativo, ma si poneva come un'alternativa alla tradizione,
lasciando la facoltà ai cittadini, a seconda dei casi, se attenersi
al vecchio canone oppure ai nuovi istituti.
LA SISTEMAZIONE IN ETÁ IMPERIALE. Dal II secolo a.C. fino
al 126 d.C., quando l'imperatore Adriano incaricò il giurista Salvio
Giuliano di sistemarlo definitivamente, fu in vigore il cosiddetto editto
perpetuo del pretore nel quale ogni anno venivano inserite nuove formule
modellate su quelle già esistenti, ma sostanzialmente diverse e
regolanti casi diversi; venivano corrette alcune di quelle già
esistenti, inserite eccezioni a casi generali, garanzie, innovazioni.
Proprio attraverso questo processo formulare, il diritto romano
si evolse, raggiungendo la completezza. Diritto civile e diritto pretorio,
comunque, rimasero due sistemi ancora ben distinti fino al periodo postclassico,
quando si affermò la tendenza a raccoglierli in un unico corpus.
Una tappa fondamentale per il diritto romano fu la Costituzione di Caracalla
del 212 d.C. con cui si estendeva la cittadinanza a tutti gli abitanti
dell'impero e, di conseguenza, si estendeva anche a tutti i popoli l'uso
del diritto romano. Con il diffondersi della religione cristiana il diritto
subì diverse modificazioni, soprattutto per quanto riguarda la
famiglia, la schiavitù e i rapporti tra creditore e debitore, con
un maggior riguardo per le ragioni di quest'ultimo in particolari situazioni.
Per soddisfare esigenze di chiarezza e di certezza del diritto, l'imperatore
d'oriente Giustiniano raccolse e riorganizzò tutto il materiale
legislativo e i testi della giurisprudenza classica (Corpus
iuris civilis, 528-533). Tale operazione, sebbene ispirata ai principi
della romanità e fondata sostanzialmente sulle norme classiche,
in quanto dettata da esigenze meramente pratiche, ossia quelle di garantire
una rapida consultazione e una maggior funzionalità delle istituzioni
giurisdizionali imperiali, apportò molte correzioni e manipolazioni
sui testi degli antichi giuristi, con adattamenti alle nuove procedure
e alle nuove concezioni giuridiche. In seguito, in occidente il diritto
romano ebbe un periodo di decadenza. Esso subì un processo di semplificazione
e di volgarizzazione in tutto l'alto Medioevo, fino a quando ricominciò
a essere studiato e applicato più sistematicamente su tutta l'area
del Sacro romano impero.
LA RINASCITA. Subito dopo il Mille, con la nascita delle prime
scuole di diritto e poi delle università, rinacque l'interesse
verso questa materia che pareva rispondere all'ideale universale del sapere.
Il Corpus iuris civilis divenne, dagli ultimi anni dell'XI secolo
alla seconda metà del XII, oggetto di studi approfonditi della
scuola dei glossatori di Bologna. Questa attività venne continuata
da un'altra scuola che da Bologna esportò giuristi suoi esponenti
in tutta Europa: i commentatori. A questa scuola, che fu attiva fino all'inizio
del XV secolo, appartennero dotti come Cino da Pistoia, Bartolo da Sassoferrato,
Baldo degli Ubaldi, la cui opinione fu a lungo considerata indiscutibile
tanto nelle università quanto nei tribunali. Già verso la
prima metà del Quattrocento i commentari di questi studiosi si
fecero artificiosi e meccanici e nelle dispute aveva la meglio chi sapeva
costruire la trama di argomentazioni più contorta e capziosa. Tale
manierismo esasperato si tradusse, dalla fine del XV secolo, nella tendenza
a disinteressarsi degli aspetti pratici e forensi, per dedicarsi a questioni
prettamente umanistiche. Prese così piede l'interesse erudito,
storicistico e filologico per il diritto dell'antica Roma, del quale si
cercavano di ricostruire nei minimi dettagli gli istituti appartenenti
alle diverse epoche, individuando le interpolazioni e gli errori degli
amanuensi. Nonostante questo rinnovamento della giurisprudenza delle università,
nei tribunali, soprattutto in Italia, si conservò il vecchio costume
pragmatico, e i giudici continuarono a basare le proprie decisioni sulla
communis opinio, cioè sulle sentenze precedenti dei grandi
tribunali e sulle raccolte di consilia, pubblicate dai giuristi
in numero sempre maggiore col diffondersi della stampa. In tutti i tribunali,
dai maggiori delle capitali e dalla Sacra rota alle più piccole
sedi giudiziarie provinciali fino alla fine del Settecento, e in certe
zone d'Europa fino ai primi dell'Ottocento, si giudicarono le cause di
diritto privato secondo l'antico codice di Giustiniano. Soltanto l'avvento
degli stati nazionali e la nuova concezione di legge come emanazione del
potere sovrano e non più divino portarono alla stesura prima di
leggi per materia e poi di codici organici, in base ai quali i giudici
dovevano decidere. La necessità di redigere ordinatamente le norme
e di fissarle in maniera inequivocabile si fece sentire tanto nei popoli,
per esigenza di chiarezza e uniformità di applicazione, quanto
nei governi e nei sovrani per garantirsi il controllo del potere giudiziario,
che tradizionalmente sfuggiva loro ed era gestito autonomamente dalla
casta dei giuristi. Tutti i codici moderni, compilati sulla tradizione
codicistica ottocentesca che fondava le proprie radici nel diritto comune,
direttamente esemplato sul diritto romano, sono profondamente imbevuti
di quest'ultimo: la stessa ripartizione delle materie al loro interno
ricalca quella del Corpus giustinianeo e numerosi articoli ne rispecchiano
alla lettera le formulazioni.
A. Straniero
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